La pelle-il confine dell'identità

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La pelle-il confine dell'identità

Studio Lacchini - formazione culturale - percorsi evolutivi
Pubblicato da Luigi Lacchini in psicologia · 15 Settembre 2014
Tags: pellepsicosomaticaidentitàconfinepersonale
La pelle
il confine dell'identità


Il confine nelle realtà incarnate

Nell'ambito dell'incarnazione, le cose esistono e sono conoscibili, perché possiedono una determinata forma, ossia perché ciascuna di esse presenta un “confine” che la distingue da tutto ciò che non è lei. Senza confine, senza limite, le cose sarebbero fuse le une nelle altre e non potrebbero manifestarsi come unità distinte e distinguibili.
Questa è una sorta di legge metafisica universale: poiché un essere non può incarnare contemporaneamente tutte le possibilità dell'esistere, è necessario, perché possa concretamente manifestarsi, che molte delle infinite onde di probabilità collassino e solo alcune divengano attuali. Non posso esistere nel medesimo spazio-tempo come uomo e come donna, come albero e come cane; naturalmente, incarnarmi in una qualunque manifestazione fisica, mi priva di una infinità di esperienze che potrei fare in tutte le altre manifestazioni, ma non tutte le alternative sono compossibili nell'orizzonte della fisicità.
Il limite, il confine, de-finisce l'essere delle cose incarnate, cioè gli attribuisce un inizio e una fine.
Anche da un punto di vista gnoseologico, la nostra capacità di “comprendere” il mondo che ci circonda, di rappresentarlo, nasce dal fatto di attribuire e riconoscere i limiti delle cose e i confini di senso delle parole, perché solo così può essere rappresentata la “forma”, fisica o mentale di ciò che esiste.
La necessità di sottostare all'esistenza di un confine che tracci il limite fisico e renda riconoscibile, vale anche per l'essere umano. Anche per la mia esistenza è essenziale poter distinguere ciò che sono rispetto a ciò che non sono.
Il confine che utilizziamo per identificarci è dato esattamente dalla pelle e dalle sue sensazioni.

La pelle come confine

Ma cos'è, più precisamente, un confine?
È una struttura dinamica, che pone in relazione due mondi, una porta che, a seconda dei casi, è barriera invalicabile, o semplice filtro, o luogo di incontro, di apertura e di scambio.
Attraverso la pelle noi discriminiamo l'interno dall'esterno, delimitiamo la nostra fisicità; la pelle è il “luogo” fisico e metaforico dove possiamo scontrarci e chiuderci agli altri e al mondo esterno, o filtrarlo, o lasciarlo entrare in noi, proiettando a nostra volta noi stessi “fuori” e “invadendo” il mondo. Il processo di de-limitazione fisica e psichica del bambino, dipende, in gran parte, dal contatto pelle-a-pelle con la madre e i care givers, grazie alla quantità e qualità dell'handling che esso riceve. Attraverso la pelle, il bimbo si percepisce, percepisce ed è percepito, definisce il proprio spazio, il proprio “qui e ora”. In un certo senso, noi esistiamo - come esseri incarnati - fin dove giunge il nostro tatto. Osservazione  quanto mai interessante, dato che, anche se non tutti ne siamo coscienti, la nostra percezione tattile sottile va molto al di là di quella fisica più grossolana. La pelle e il tatto sono il primo criterio di determinazione di ciò che, in termini filosofici, noi definiamo come “qui e ora” e quindi, da un punto di vista spirituale, la radice stessa della “presenza”, come totale consapevolezza dell'essere al fenomeno dell'esistere.
Se l'essere incarnati richiede necessariamente la delimitazione, ciò significa che, ogni situazione di “fusione” (anche solo metaforica) con un'altra persona, o con una situazione ambientale o emozionale, sia inevitabilmente percepita, a livello inconscio, non solo come aprirsi ed essere vulnerabili, ma, più in profondità, come il venir meno della dimensione incarnata, come “morte” o almeno come “scomparsa”.
Il venir meno del confine è venir meno dell'identità.
È interessante, a questo proposito, osservare il fenomeno del mimetismo animale e vegetale, che uniformando l'involucro esterno dell'individuo all'ambiente circostante, ovvero dissimulando il “confine”,  determina appunto l'apparente “venir meno” dell'individuo e quindi la sua non-attaccabilità. Non si sfonda una porta completamente aperta
Qui sta la radice di tutti i problemi che può determinare il contatto pelle-a-pelle in chi non l'abbia serenamente e intensamente sperimentato da bambino e della difficoltà dell'abbandono fusionale in momenti forti, come l'abbraccio profondo o l'orgasmo.
Anche gli stati meditativi profondi, nella misura in cui offrono l'esperienza del trascendere i propri confini, sono un venir meno dell'individuo, una sorta di abbandono della dimensione personale per sprofondare nella coscienza transpersonale.
Non a caso, il termine “estasi”, etimologicamente, significa “stare fuori”, ossia “uscire dalla propria pelle” e quindi dalla propria identità fisica, che necessariamente la richiede.

La pelle, metafora dell'unicità

La pelle, in quanto confine, non solo rende visibile esternamente la nostra forma, ma lo fa in un modo unico, caratterizzando inconfondibilmente la nostra individualità. Non è un caso che si tratti di un organo che non è possibile trapiantare; la pelle è un'esclusività individuale. Impronte digitali, rughe d'espressione, cicatrici, nei, macchie, qualità della cute, ecc. raccontano l'unicità e irripetibilità della nostra storia personale e rendono manifeste le nostre caratteristiche energetiche. Persino i gemelli omozigoti hanno linee della mano diverse. Per questo la chiromanzia ha sempre ritenuto di potervi riconoscere il destino individuale.
Poeticamente è stato scritto che la pelle è una sorta di pergamena su cui, ogni giorno, noi annotiamo gli eventi della nostra storia e dell'ambiente in cui viviamo. Cresce e invecchia, sempre nuova e sempre la stessa, espressione di quel paradosso che è l'identità nel divenire e che, proprio per questo, la rende, per eccellenza, metafora dell'io psichico.

La pelle, metafora dell'io

Esiste un rapporto profondo tra pelle, tatto e formazione dell'Io. La costruzione della nozione e dell'esperienza dell'identità personale, elaborata attraverso la percezione della propria separazione dal resto del mondo, inizia nel feto proprio grazie ad una reazione tattile, il cosiddetto “riflesso di evitamento”, che si manifesta nella zona orale intorno alla quinta settimana dal concepimento. Quando il labbro superiore dell’embrione sfiora qualunque cosa all’interno del liquido amniotico, egli si ritrae, con una reazione del tutto simile a quella delle amebe. Ancora pochi giorni e le palme delle mani, le piante dei piedi e poi l’intero corpo, diverranno sensibili al tocco. Perciò si può affermare che, attraverso il tocco intrautrerino, l’embrione sviluppa il proprio senso di identità e solidità spaziale.
L'Io e la pelle si richiamano simbolicamente l'un l'altra. Come l'io rappresenta la costruzione psichica che “raccoglie e contiene” i dinamismi psichici consci e inconsci personali, e li pone in relazione con tutte le dinamiche provenienti dall'ambiente esterno, così la pelle svolge il medesimo compito da un punto di vista materico. Essa ci “contiene”, dando unità rappresentativa alla molteplicità di organi e tessuti e, al tempo stesso, ci pone in relazione.
Tra la pelle e l'io sussiste un'ulteriore analogia simbolica: ed è la dimensione dell'elasticità. Più la pelle è giovane e sana, più è elastica e si adatta alle modificazioni interne ed esterne; allo stesso modo la nostra unità psichica, se è sana e “giovane”, resta elastica, adattativa, mentre se diviene rigida e vecchia rischia di lacerarsi anche per stimoli ambientali poco stressanti. L'avvizzire della pelle nell'anziano indica tutto questo: il sopravvenire di una rigidità, e, al tempo stesso, l'avvicinarsi del momento in cui la pelle sarà abbandonata e la trasformazione avverrà in modo totale.
Per tutto questo, possiamo dire che l'io è la pelle della nostra psiche, e la pelle è l'io della nostra fisicità. Lo stato della nostra pelle racconta lo stato del nostro essere psichico. L'osservazione è assai rilevante, ai fini dell'interpretazione psicosomatica ed energetica dei problemi dermatologici, specialmente all'interno dei percorsi di sviluppo evolutivo. Ogni trasformazione della pelle indica una globale trasformazione dell'io. Nella mitologia, il mutamento della pelle rimanda ad un radicale mutamento di identità. L'abbandono progressivo dell'io (distinto, frammentato rispetto all'universo) in favore della consapevolezza sempre più espansa del Sé (unito e uno col Tutto) si può esprimere attraverso la metafora del lasciare la propria pelle, aprirla, espanderla. Marsia, per divenire fiume che disseta e rende fertili le terre, passa attraverso un dolorosissimo scorticamento.
Per questo, diversamente da tutti gli altri apparati ed organi, i cui problemi restano “interni” e possono essere interpretati psicosomaticamente in modo analitico, la pelle e le sue problematiche rappresentano un conflitto di tutta l'unità psichica, il tentativo operato dall'io di rendere visibile e scaricare all'esterno (verso il non-io), conflitti, parti inconsce ed emozioni vietate, che a livello psichico si ritiene non possano essere esibite e che prendono quindi la più visibile via di manifestazione fisica.
L'area somatica specifica dove il problema cutaneo si manifesterà darà indicazioni sulla natura del problema, ma il fatto che la via di manifestazione sia la pelle, invece che altri organi o tessuti, dice che il problema ha determinato una reazione dell'intera unità psichica e “chiede” di venire allo scoperto, di “farsi vedere”.
Ogni volta che l'ambiente esterno diviene problematico od ostile, o si prospetta un cambiamento radicale in grado di mutare l'identità profonda, se l'io non riesce ad adattarsi e ad esprimere adeguatamente le proprie emozioni, rappresenterà le sue difficoltà in modo simbolico attraverso sintomi cutanei. Ciò accadrà sia attraverso manifestazioni fisiologiche, come l'arrossamento (vergogna, rabbia, amore), il grigiore (tristezza), il pallore (paura, ira, asfitticità, mancanza di energia), il livore (rabbia, invidia), che attraverso manifestazioni sgradevoli (prurito, sudorazione eccessiva, odore) o vere e proprie patologie.

Il linguaggio della pelle

Quanto si è appena scritto, introduce la dimensione linguistico-comunicativa della pelle. Essa manifesta esternamente situazioni emozionali e stati viscerali interiori, per cui non è scorretto affermare che la pelle costituisca sia il linguaggio, ossia la sintassi, che la comunicazione stessa, ovvero il messaggio che viene scritto attraverso quel linguaggio.
Questa caratteristica della pelle è condivisa da molte specie animali, dove stati e comportamenti sessuali, aggressivi e, in generale pulsionali, si esprimono con manifestazioni cutanee o del piumaggio.
Vi sono almeno cinque modalità attraverso cui la pelle comunica:

  • il colore della cute
  • la presenza di nei, macule, ponfi, segni, rughe
  • la grana, il livello di idratazione e il sudore
  • l'odore
  • lo stato degli annessi cutanei (peli e capelli)

Le informazioni passate attraverso queste modalità sono psicologiche ed energetiche al tempo stesso e le medicine orientali sono particolarmente attente a coglierle.
A puro titolo d'esempio, si pensi al colore della cute (roseo, pallido, violaceo, giallastro, terreo, grigiastro); esso comunica numerose informazioni, quali, ad esempio, il livello di irrorazione sanguigna, la congestione dei capillari e il conseguente stato energetico, con il relativo funzionamento di organi e meridiani.
La pelle grigiastra o bianco-pallida, ad esempio, comunica una generale mancanza di energia (è tipica del collasso) e qualche problema al meridiano del polmone, ossia all'ossigenazione, anche in senso metaforico. Il colorito terreo rimanda al funzionamento del meridiano di milza-pancreas e a problemi con l'assimilazione (anche psichica) e la rimuginazione. Il colore giallastro è notoriamente legato al fegato e, psicologicamente, alle situazioni ad esso collegate (rabbia, intossicazione, stockaggio eccessivo di grassi e zuccheri). Un colorito livido o chiazze rossastre dicono di una vascolarizzazione eccessiva o di una congestione capillare e parlano di forte emozionalità trattenuta, con problemi ai meridiani del fuoco ed eccessi locali di energia.
La presenza di segni particolari sulla pelle, come nei, rughe particolari, impurità, ponfi, ecc., diviene particolarmente significativa quando tali segni seguono il percorso di uno specifico meridiano energetico o si trovano su aree specifiche del viso che, secondo le medicine orientali, forniscono indicazioni diagnostiche.
Secondo la medicina ayurvedica, la grana e lo stato di idratazione della pelle rappresentano uno degli indici per stabilire la “costituzione” ossia la diatesi di base, di ciascun individuo.
Ad esempio, la pelle secca, precocemente tendente ad avvizzire, è caratteristica degli individui “vata”, ossia con predominanza energetica degli elementi “aria” e “spazio” (per la medicina cinese “aria” è “metallo”); segnala che l'energia fuoco presente, più che uscire fuori, viene proiettata su di sé e produce disidratazione, secchezza, una certa aridità. Poiché l'acqua si lega simbolicamente alle emozioni e alla dolcezza (la rugiada per le piante), la pelle di tipo vata suggerisce una certa difficoltà a vivere la dimensione emozionale, o la percezione di una solitudine e mancanza di dolcezza ricevuta e quindi scambiata.
Naturalmente anche la pelle degli individui pitta e di quelli kapha presenta specifiche peculiarità.
Il codice informativo legato all'odore è uno dei più antichi e potenti, capace di comunicare direttamente con gli aspetti più inconsci della psiche. Gli animali assegnano alla percezione olfattiva un ruolo primario nella comunicazione, sia all'interno della specie, che interspecie. La decodifica degli odori, legata al sistema limbico e quindi ad una delle più antiche aree cerebrali, consente una comunicazione che tocca ambiti essenziali per la sopravvivenza del singolo e della specie, come il riconoscimento parentale (l'odore della mamma per il bimbo), la percezione delle intenzioni aggressive e l'attrazione sessuale.
La pelle, attraverso il suo odore specifico, diverso da un individuo all'altro, costituisce una vera e propria marcatura olfattiva dell'identità, che gioca un ruolo essenziale nelle relazioni interpersonali ed influenza significativamente le reazioni altrui e quindi, di conseguenza, le nostre.
Per la medicina ayurvedica, ad esempio, gli individui con un odore della pelle più intenso (indipendentemente dal fatto che risulti gradevole o meno), sono quelli che hanno preponderante la presenza del dosha “pitta”, ossia sono gli individui con prevalenza dell'elemento fuoco, passionali, intensi, “a colori”, psichicamente forti, ma, se in squilibrio, potenzialmente aggressivi o violenti. Sono individui che “segnano il territorio” e manifestano a maggiore distanza la loro presenza.

Conclusioni provvisorie

Dato che la pelle è tutto questo, diviene chiaro quale immenso significato psicosomatico possano assumere il tocco, il massaggio, le tecniche di unzione o di esfoliazione, il contatto con l'acqua calda, ecc.
È proprio questa consapevolezza che mi ha condotto a ritenere decisiva l'introduzione di pratiche a mediazione corporea e di tocco all'interno dei percorsi evolutivi e del counselling filosofico.
Nessun lavoro serio sul tema dell'identità personale e della sua trasformazione può avvenire trascurando l'espressione fisica di tale identità.
Senza “Body” e senza “Touch”, non ci può essere “Care”!




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