La struttura del "Prana Viveka Yoga"

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La struttura del "Prana Viveka Yoga"

Studio Lacchini - formazione culturale - percorsi evolutivi
Pubblicato da Luigi Lacchini in yoga · 19 Marzo 2020
Tags: yogapranaasanakriya
1. Il confronto con l'Hatha Yoga

Quando ho iniziato a lavorare con le tecniche corporee che oggi costituiscono il Prana Viveka Yoga e soprattutto quando ho deciso di utilizzare la denominazione di “yoga”, è stato inevitabile confrontarmi con lo yoga classico, l'hatha yoga, per verificare se e in che misura fosse opportuno andare oltre questo approccio.
In effetti si trattava di andare molto al di là di una tradizione antica e nobile e quindi non poteva essere fatto con leggerezza.

Mi sono chiesto, innanzi tutto, se le asana siano il fine o semplicemente lo strumento dello yoga, inteso come Via evolutiva e mi sono risposto che si tratta senz'altro di uno strumento, che, come tale, può evolvere. Le asana sono il dito che indica la luna, che però può essere indicata anche con un bastone o un puntatore laser.
In effetti nello yoga, fin dagli anni '90 erano già comparse molte varianti. Per esempio ci si era chiesti se le asana debbano per forza essere statiche: si era risposto di no ed erano nate le prime forme di yoga dinamico. In fondo le asana statiche, dal punto di vista fisico, assolvono unicamente ad uno scopo: allungare i muscoli e costruire l'allineamento ottimale per fare in modo che l'energia scorra al meglio e, con certe posizioni, migliorare l'equilibrio e la centratura. Indubbiamente il principio a cui si ispira lo yoga classico è quello di “bloccare il corpo per fermare la mente”, ma la difficoltà intrinseca e la faticosità di molte asana fa sì che la maggior parte dei praticanti, specialmente nei primi anni di sadhana, non faccia che concentrarsi (e spesso deprimersi) sulla performance fisica che non riesce a effettuare, ottenendo concretamente solo sforzo, attivazione mentale e frustrazione.

Quali sono i problemi delle asana classiche? Innanzi tutto alcune posizioni tradizionali, se eseguite a lungo, possono produrre problemi fisici di vario genere. Purtroppo, però, per essere apprese bene, vanno eseguite inevitabilmente a lungo. La questione più grave però, che in sé non dipende dalle asana in quanto tali, ma da come sono vissute, è che vengono percepite come obiettivi in sé, e dato che per molti individui risultano quasi impossibili, finiscono col divenire obiettivi scoraggianti. Spesso l'ossessione di riuscire ad eseguire l'asana finisce col far passare in secondo piano o trascurare del tutto molti altri focus propriocettivi di tipo fisico-energetico: percepire e dirigere mentalmente i flussi di energia, coordinare questi flussi energetici con il movimento e col respiro, coordinare movimento e flussi con il suono; percepire i movimenti esplosivi dell'energia accanto a quelli a flusso lento.

C'era poi un altro aspetto che mi spingeva ad andare oltre lo yoga classico. Il contesto di utilizzo del lavoro corporeo, nel mio caso, erano percorsi evolutivi individuali, dove spesso, un nodo cruciale era quello di riscrivere un'informazione psicologica o emozionale distorta. Si tratta di un problema ben noto in ambito psicoterapico e di counseling; in un certo ambito psicologico le esperienze che l'individuo ha vissuto hanno portato determinate informazioni, che sono andate progressivamente a costituire una corazza psicosomatica, creando uno schema disfunzionale di approccio alla realtà. L'intervento terapeutico o pedagogico deve andare a “riscrivere” questa informazione scorretta, sciogliere la corazza psicosomatica e mutare lo schema mentale. Tutto ciò naturalmente non può avvenire solamente con un'attività fisica, se pure con forte caratterizzazione psicosomatica ed energetica, ma resta il fatto che quest'ultima deve integrarsi con altri momenti terapeutici (il colloquio, il lavoro sugli archetipi, ecc.). Per questa ragione, l'attività psicoenergetica utilizzata, qualunque essa sia, deve esplicitare l'informazione contenuta in ogni esercizio, in ogni posizione, far riflettere il praticante che ogni azione esprime metaforicamente un concetto, uno schema mentale. In questo modo l'esercizio contribuisce a “scrivere” questa informazione nella memoria cellulare e muscolare del praticante, coadiuvando sul piano fisico-energetico il raggiungimento del medesimo obiettivo che il colloquio realizza sul piano psichico.
Questo è un aspetto sistematicamente presente nelle kriya e nelle asana del Prana Viveka Yoga e del tutto assente nello yoga classico. In ogni esercizio il praticante viene invitato a riflettere (prima e dopo l'esercizio, non durante) sul significato simbolico che posizione e movimenti suggeriscono.

2. Le kriya del Prana Viveka Yoga

Il Prana Viveka Yoga prevede tre tipologie di kriya (azioni, movimenti) che rispondono a tre differenti esigenze:
  • Le kriya esterne “surya” (ossia “solari”, yang)
  • Le kriya esterne “chandra” (ossia “lunari”, yin)
  • Le kriya interne, senza movimento visibile, tranne quello respiratorio.

Le kriya esterne “surya” sono esercizi che prevedono movimenti rapidissimi, esplosivi, in cui il praticante prende consapevolezza di tutta la sua potenza energetica che si espande verso l'esterno. Sono associate con un'emissione respiratoria forte e rapida o all'emissione di un suono secco e forte, come il kiai delle arti marziali.
Le kriya esterne “chandra” sono invece gli esercizi (la maggioranza) che comportano movimenti lentissimi. Solitamente attraverso il movimento lento si raggiunge una particolare posizione che viene mantenuta per qualche secondo (o meglio per qualche atto respiratorio) e poi viene “sciolta” sempre mediante un altro movimento lento. Sono esercizi essenziali per addestrarsi a percepire il corpo sottile, l'energia che si attiva e si muove, i lievi effetti emozionali che queste azioni producono. Si svolgono sia coordinando movimento e respiro, sia integrando il movimento con l'emissione di suoni particolari a specifiche frequenze.
Infine ci sono esercizi “interni”, ovvero senza alcun movimento esteriore del corpo ad eccezione del ritmo respiratorio. Il loro dinamismo energetico è percepibile solamente a livello psichico servono ad allenare il coordinamento tra respiro, pensiero ed energia. Sono molto vicini, come intento e natura, agli esercizi “interni” del qigong.

3. Kriya e asana

Ciò che caratterizza in modo unico il Prana Viveka Yoga, è il fatto che ogni kriya, ossia ogni movimento, può essere effettuato mettendo il corpo in posizioni diverse (seduto, in piedi, supino, ecc.); mutando la posizione (asana) ogni esercizio si trasforma completamente, sia dal punto di vista fisico, posturale, energetico, che dell'informazione che porta con sé.
In questo modo, attraverso un numero relativamente ristretto di kriya, è possibile effettuare una serie molto complessa e articolata di azioni semplicemente mutando asana. A parte le kriya interne che si eseguono solitamente nella posizione della seduta semplice, tutte le altre hanno una posizione esecutiva base, e numerose varianti che fanno mutare radicalmente la natura dell'esercizio.

Le kriya di base del Prana Viveka Yoga sono strutturate tutte in questo modo e forniscono materiale largamente sufficiente per lavorare un paio d'anni, gestendo anche una propria routine quotidiana.
Poi ci sono varie kriya più avanzate che possono essere eseguite soltanto in una o al massimo due posizioni e quindi hanno obiettivi specifici. Solitamente alcune di esse vengono inserite già nel primo anno di lavoro.

Va sottolineato, tuttavia, che il modo di lavorare del Prana Viveka Yoga non prevede il moltiplicarsi delle tecniche e l'apprendimento rapido di molte kriya, ma la ripetizione e l'approfondimento di quelle che si conoscono già, sino a penetrarne il più profondo significato e farle diventare una seconda natura.
Infine sono state create una serie di kriya da eseguire in coppia che rendono ancora più affascinante il lavoro energetico e consentono di prendere coscienza degli effetti della polarità.

4. Sequenze di kriya

Le singole kriya possono essere organizzate in sequenze strutturate per lavorare in modo specifico su certe tematiche e problemi.
Le sequenze sono strutturate in modo da durare o 30 o 60 minuti. Prevedono l'esecuzione del saluto, di 3 o 5 kriya e un breve momento meditativo finale. Al termine di ogni kriya una pausa consente di metabolizzarne gli effetti, sia fisici che sottili.
La sequenza è guidata da un'apposita compilation musicale e sonora che intensifica l'effetto delle singole kriya e scandisce il ritmo di passaggio dall'una all'altra.
Le sequenze sono uno strumento di lavoro eccellente, una volta che le kriya siano state adeguatamente apprese, perché consentono di lavorare anche da soli, unendo insieme esercizi che hanno una congruenza funzionale; un'ora di lavoro nella più totale concentrazione, senza indicazioni tecniche, nel puro ascolto. Le sequenze di 30 minuti possono essere facilmente inserite nella routine quotidiana, facilitando lo stabilizzarsi di una sadhana e il raggiungimento di quella “massa critica” di lavoro che in tutte le discipline orientali fa la differenza tra avere o non avere effetti.

Le sequenze possono essere successioni di tecniche separate le une dalle altre (anche da momenti di ascolto silenzioso) oppure gruppi di movimenti concatenati in sequenze dinamiche. Quest'ultimo modo di lavorare attiva in modo intenso l'energia e costituisce uno strumento potente per effettuare una sorta di meditazione a mediazione corporea.

5. Le quattro armonizzazioni

Kriya e asana hanno come obiettivo quello di facilitare il raggiungimento da parte del praticante di quattro livelli di armonizzazione:

  • armonizzare il corpo
  • armonizzare il respiro
  • armonizzare la psiche
  • armonizzare l'energia

Armonizzare il corpo significa varie cose: regolare il peso, sciogliere le articolazioni, rafforzare ossa e muscoli, espellere le impurità, riequilibrare i ritmi circadiani e circaniani, imparare a “nutrirsi” anche con l'energia e non solo con gli alimenti. Sono tutti effetti che un lavoro sistematico con il Prana Viveka Yoga aiuta a raggiungere, ovviamente integrato con altre azioni che il praticante deve intraprendere da sé.

Armonizzare il respiro significa rallentarlo, controllare le quattro fasi (inspirazione, arresto a pieno, espirazione, arresto a vuoto), coordinarlo con il movimento e coordinarlo con il suono. Il lavoro del Prana Viveka Yoga sul respiro è progressivo e molto potente. I movimenti delle kriya sono lenti e quindi, specialmente all'inizio, molti praticanti trovano difficoltà a compiere inspirazioni ed espirazioni così lente. Con alcuni praticanti, il ritmo respiratorio normale, dopo un anno di lavoro, era passato da 16/18 a 11/12 atti respiratori al minuto, con un sensibile ampliamento degli atti respiratori, miglioramento del controllo sulle fasi addominale, toracica e sovraclaveare e migliore ossigenazione dei tessuti.

L'armonizzazione della psiche è un fenomeno più complesso che consiste nell'acquietare le emozioni e svuotare la mente, riuscendo talvolta ad entrare in quel “luogo” incognito che è la dimensione della “non-mente”. Non è un obiettivo facile. Si tratta, in un certo senso, di arrivare a sperimentare che la mente e la consapevolezza sono due dimensioni differenti e scoprire che più la mente si acquieta, più la consapevolezza fiorisce. Spesso il praticante sperimenta una situazione di quiete emotiva durante la sessione, ma, soprattutto nei primi mesi, raramente l'effetto si prolunga al di fuori del contesto della pratica. Solo quando la sadhana raggiunge una certa massa critica e le tecniche di autosservazione repiratoria iniziano ad entrare nel vissuto quotidiano come una seconda natura, si iniziano a sperimentare mutamenti psichici più durevoli e significativi.

Armonizzare l'energia, in accordo con le grandi medicine cinese e ayurvedica, significa sostanzialmente disperdere l'energia in eccesso, aumentarla dove c'è carenza, farla circolare meglio dove ci sono rallentamenti o blocchi, riequilibrando in questo modo i meridiani e l'informazione dei  chakra. Sul modo concreto in cui questo avviene durante una sessione del Prana Viveka Yoga, tratterò poco oltre.

6. Carattere yin e yang dei movimenti

È importante comprendere come si interpreta la natura più yin e più yang (o, usando il termine indiano, più “surya” o più “chandra”) dei movimenti utilizzati nel Prana Viveka Yoga.
Per evitare qualunque fraintendimento, ricordo che non ha alcun senso chiedersi “in assoluto” se un movimento, un gesto, una situazione, ecc. siano yin o yang. Nulla è yin o yang assolutamente. I termini yin e yang vengono sempre predicati in un confronto tra due situazioni, per cui si può solo affermare che una certa cosa sia “più yin” o “più yang” rispetto ad un'altra.
Pertanto, in ogni movimento, dovremo guardare gli indicatori che ci dicono “quanto” yin o yang sia presente in esso.

Gli elementi yin di un movimento sono:

  • lentezza
  • moto circolare
  • verso centrifugo
  • verso dal basso verso l'alto

Al contrario, gli elementi yang di un movimento sono:

  • velocità
  • moto rettilineo
  • verso centripeto
  • verso dall'alto in basso

Normalmente le kriya del Prana Viveka Yoga sono concatenazioni armoniche che non privilegiano in modo asimmetrico né l'una né l'altra di queste modalità di energia. In ogni caso, più che indulgere in un'analisi mentale dei singoli esercizi, è importante addestrarsi a “sentire” gli effetti che producono, variabili da soggetto a soggetto, in quanto differente è la base psicosomatica ed energetica di ciascun praticante.
Le caratteristiche più yin o più yang dei movimenti di una kriya si integrano con le modalità yin o yang della respirazione, come chiarito poco oltre.

7. Modelli di respirazione

Il Prana Viveka Yoga fa uso di numerose tecniche respiratorie, largamente condivise da molte discipline orientali, prime fra tutte quelle di pranayama.

a) Respirazione addominale semplice

La respirazione di base è quella semplice, addominale, che dovrebbe essere “normale” anche se per lo più non lo è, perché la maggior parte degli adulti non sa usare adeguatamente il diaframma.
Nella respirazione semplice ci sono due momenti: inspirazione ed espirazione.

L'inspirazione produce i seguenti effetti:

  • carico energetico,
  • aumento yang
  • innalzamento dell'energia verso la testa;

L'espirazione produce i seguenti effetti:

  • scarico energetico e liberazione di scorie,
  • aumento yin
  • abbassamento dell'energia verso il centro sotto l'ombelico.

Questa osservazione, lungi dall'essere un'ovvietà, dà una chiave per comprendere come la respirazione potrà fondersi con i movimenti. Nel caso di movimenti di natura yang, la compresenza di un atto respiratorio yang (inspirazione), potenzierà l'effetto, mentre l'effettuazione di un atto respiratorio yin creerà un bilanciamento.

b) Respirazione ampia

Durante l'effettuazione di movimenti lenti e lunghi, l'atto respiratorio si allungherà di conseguenza, rendendo necessario l'utilizzo della respirazione toracica (e talvolta anche sovraclaveare). Questa modalità, se allenata con frequenza, conduce progressivamente a un rallentamento e allungamento degli atti respiratori, con una positiva ricaduta sull'ossigenazione del sangue, oltre a tutti i noti benefici del “massaggio diaframmatico” agli organi interni.

c) Respirazione addominale paradossa

In numerosi esercizi si farà uso della cosiddetta “respirazione paradossa”, che inverte i movimenti addominali. Nella respirazione semplice, l'inspirazione avviene dilatando l'addome e l'espirazione contraendo gli addominali. Il punto fisso del sistema, in questa modalità respiratoria, sono le vertebre lombari.
Nel caso della respirazione paradossa, durante l'atto inspiratorio gli addominali vengono tirati verso l'interno e questo fa sì che divengano il nuovo punto fisso del sistema, costringendo a “scaricare” l'atto respiratorio sulle vertebre lombari che ricevono una sorta di “massaggio”. La maggiore fatica che incontra il diaframma (contrastato dagli addominali contratti) determina una specie di “allenamento” potenziante e, al tempo stesso, forza l'utilizzo della zona respiratoria toracica, ampliando il movimento a cucchiaio delle costole e l'elasticità di tutto il sistema.
La cosa più importante, tuttavia, è che la respirazione paradossa interrompe un meccanismo automatico (addirittura lo capovolge) e aiuta perciò a prendere consapevolezza e controllo della propria attività respiratoria, che è un obiettivo fondamentale del Prana Viveka Yoga.

d) Respirazione triangolare e quadrata

Il normale ritmo respiratorio, fatto di due movimenti, può essere arricchito con altre due fasi: la ritenzione a vuoto e la ritenzione a pieno.
La ritenzione a pieno è la situazione che si ha quando, dopo un'inspirazione profonda, si arresta il movimento diaframmatico e si rimane in arresto respiratorio con i polmoni pieni di aria. È una situazione che aiuta a sfruttare pienamente le risorse di ossigeno presenti nell'aria respirata. Si tratta di una sorta di stasi di tipo yang, in cui si diviene “osservatori della propria pienezza”.
Ancora più importante è la ritenzione a vuoto, considerata in oriente, e soprattutto nella cultura indiana, la fase respiratoria più potenzialmente meditativa.
Si tratta di una fase respiratoria innaturale, perché il nostro riflesso respiratorio, legato all'istinto di sopravvivenza, ci induce a non rimanere senza ossigeno (anche se di fatto i polmoni non si svuotano mai completamente), perché questa è esattamente la situazione che genera la morte.
La fase di ritenzione a vuoto costituisce un vero e proprio arresto nel ritmo respiratorio, senza la sensazione di gonfiore che invece si prova nella ritenzione a pieno. Un arresto che, interrompendo il ritmo più “naturale” che esprimiamo attraverso il corpo, conduce ad una specie di sospensione della percezione del tempo.
Da sempre lo yoga classico sa che è proprio in questa fase che può attivarsi l'esperienza dell'osservatore puro, ossia la sensazione di guardare la realtà (e anche se stessi e il proprio corpo) come osservatori esterni, neutrali e separati. Può attivarsi la dimensione della non-mente e, di conseguenza, uno stato di massima “presenza distaccata” che è l'essenza stessa della meditazione.

Si parla di respirazione triangolare quando si attiva una fase di ritenzione. Se si attiva la ritenzione a pieno si immagina il triangolo con il vertice in alto, il simbolo del fuoco maschile, mentre se si attiva la ritenzione a vuoto si immagina il triangolo con il vertice in basso, il simbolo del fuoco femminile.
Si parla invece di respirazione quadrata quando vengono attivate entrambe le fasi di ritenzione e si producono perciò quattro fasi respiratorie. Più precisamente si parla di respirazione rettangolare quando le due fasi ritenzione sono più brevi dell'inspirazione e dell'espirazione (è il caso più comune), mentre più propriamente si parla di respirazione quadrata quando tutte e quattro le fasi hanno la medesima lunghezza.

e) Kapalabhati e bhastrika: il respiro del fuoco

In alcune kriya del Prana Viveka Yoga si fa uso di alcune tecniche di respirazione particolarmente forti, ben note a chi pratica pranayama: kapalabhati e bhastrika.

Kapalabhati è una sorta di mantice asimmetrico, dove si effettua una serie veloce di successive inspirazioni, seguite da un lungo atto espiratorio, oppure, al contrario, un lungo atto inspiratorio precede una serie veloce di espirazioni.
Nel caso di bhastrika, invece, si effettua semplicemente una serie di potenti e veloci atti respiratori completi (fino a 50 al minuto) che producono un'iperattivazione energetica, che il Kundalini Yoga chiama “respiro di fuoco”.
Kapalabhati e bhastrika non sono tecniche respiratorie praticabili da tutti. Producono iperventilazione e possono alzare significativamente la pressione, aumentare la frequenza cardiaca, dare senso di stordimento e procurare tetania muscolare. Vanno eseguite per tempi brevi sotto il controllo di un insegnante esperto che sappia discriminare chi le possa effettuare e per quanto tempo.

8. Le “cinque cinture” (bandh)

Sia nello yoga che in altre discipline orientali, durante le tecniche si fa spesso uso delle cosiddette “cinture” (denominate “bandh” nello yoga tradizionale). Si tratta di tecniche di trattenimento muscolare ed energetico applicate in varie zone del corpo. In generale, un “bandh” è una tecnica per “chiudere” una determinata area corporea e far sì che l'energia scorra con più difficoltà, determinando effetti di “congestione” energetica che rendono percepibili i flussi. Per questa ragione è intuitivo che i bandh vadano utilizzati con buon senso e per durate non troppo prolungate.

I principali bandh utilizzati dal Prana Viveka Yoga sono cinque:

  • uddayana bandh – la cintura addominale, presente praticamente nell'esecuzione di quasi tutte le kriya e quindi il più importante di tutti i bandh. Consiste nel tirare in dentro i muscoli addominali in modo leggero o molto forte, a seconda del tipo di esercizio. Questo bandh serve a tutelare i muscoli erettori della schiena da sforzi eccessivi e obbliga il diaframma a una “ginnastica” più intensa, per vincere la contropressione degli addominali.
  • Mulabandh – la cintura “della radice”, o meglio, la cintura pelvica. Entra in gioco nelle kriya che vogliono attivare l'energia di base, quella tradizionalmente collegata al primo e secondo chakra, Consiste nella contrazione dei muscoli pelvici, come se si cercasse di trattenere feci e urine. Numerosi studi empirici, non scientificamente confermati, sostengono che la pratica regolare di mulabandh aiuta contro l'incontinenza e l'eiaculazione precoce. Nel Prana Viveka Yoga viene utilizzato solitamente insieme a uddayana bandh, nelle kriya che vogliono attivare al massimo l'energia della zona compresa fra l'ombelico e l'osso pubico, creando per così dire due “sbarramenti” che ne rallentano il movimento.
  • Jalabandh – la cintura della gola, che si ottiene portando il mento verso lo sterno e quindi “chiudendo” la parte anteriore del collo. Questo bandh produce l'allungamento e la rettificazione della catena muscolare cervicale e va effettuato cercando di flettere il meno possibile la testa in avanti, soprattutto senza anteporla rispetto alla linea delle spalle. Il Jalabandh viene solitamente effettuato insieme a uddayana bandh, quando si vuole ottenere l'effetto di potenziare l'energia nella zona del torace, oppure, in posizione supina, per posizionare correttamente la testa, correggendo un'eventuale iperestensione.
  • Mahabandh – la “grande cintura”, che non è altro che l'esecuzione simultanea dei tre bandh precedenti, un gesto di potente chiusura, che solitamente viene tenuto per breve tempo, all'interno di kriya particolari che devono produrre un generale effetto di potenziamento energetico.
  • Prana bandh – la “cintura del respiro” o dell'energia. È una tecnica molto diversa dalle precedenti, che consiste nel chiudere le narici con un dito, ritmicamente  in modo alternato destra/sinistra. Si tratta di un bandh solitamente utilizzato durante kriya respiratorie.

9. Il lavoro sui meridiani

Il Prana Viveka Yoga può essere utilizzato per ottenere un'interessante azione sui principali meridiani della medicina tradizionale cinese, che può coadiuvare interventi specifici e mirati (come ad es. sessioni di agopuntura, moxa, cromopuntura, shiatsu o tuina).

Le azioni che possono essere effettuate sui meridiani sono 3:

  • caricamento
  • dispersione
  • consapevolezza

a) Le azioni di caricamento

L'azione di potenziamento dell'energia dei meridiani – laddove sia possibile per le leggi generali della MTC – può avvenire i vari modi:

  • contrazione dei muscoli nelle zone dove transita il meridiano;
  • contrazione dei “muscoli test” del meridiano (secondo la chinesiologia);
  • attivazione di agopunti specifici di accumulo, mediante posizioni o movimenti particolari.

b) Le azioni di dispersione

Simmetricamente, l'azione di dispersione può avvenire attraverso tre modalità:

  • allungamento dei muscoli nelle zone dove transita il meridiano;
  • allungamento dei “muscoli test” del meridiano (secondo la chinesiologia);
  • attivazione di agopunti specifici di dispersione, mediante posizioni o movimenti particolari.

c) Le azioni di consapevolezza

In numerose kriya il praticamente viene invitato a prendere consapevolezza dei flussi energetici posti in essere dal movimento e dalla posizione. Ciò avviene fondamentalmente in due modi:

  • portando l'attenzione sul percorso dei meridiani;
  • evidenziando nel corso del movimento i punti iniziali di un meridiano sulle dita degli arti;

Per esempio, effettuando un movimento con le dita lunghe chiuse e il pollice esteso, si evidenzia la fine del meridiano del polmone. Facendo il medesimo movimento con il mignolo in estensione, si evidenzia il meridiano del cuore, e così via.
Va sottolineato che l'azione del Prana Viveka Yoga sui meridiani non può supplire, ma solo integrare terapie energetiche specifiche.

10. Kriya e fonazioni

Come ho già accennato in sede introduttiva, il Prana Viveka Yoga si è arricchito con le mie ricerche nell'ambito della psicologia del suono e della musica e del sound healing. Oltre a strutturare un variegato database musicale al fine di creare un'adeguata base per l'esecuzione delle kriya, ho ritenuto opportuno unire all'esecuzione di alcuni esercizi la pratica della fonazione, facendo tesoro anche dell'esperienza acquisita con il cosiddetto “qigong dei suoni” di Ma Li Tang.

Nella pratica del Prana Viveka Yoga si fa uso principalmente di 7 suoni:

  • la vocale “u” associata a movimenti legati all'area addominale;
  • la vocale “o” associata a movimenti legati all'area toracica;
  • la vocale “a” associata a movimenti legati all'area toracica, ma particolarmente legati alla dinamica respiratoria;
  • la vocale “e” associata a movimenti legati all'area clavicolare e cervicale;
  • la vocale “i” associata a movimenti in cui le braccia e l'energia salgono sopra la testa;
  • il suono “mmm” come sonorizzazione che fa risuonare l'energia al centro della testa (6º chakra);
  • il suono “ng” (pronunciato come in inglese) che fa risuonare l'energia sulla cime della testa (7º chakra).

Le vocali vengono cantate su frequenze particolari, scelte volta per volta. L'associazione tra suoni e kriya non è rigida, né risponde a un protocollo, ma viene suggerita da un insegnante competente quando risulta opportuna,.
Ovvio sottolineare che l'esecuzione di fonazioni, essendo possibile soltanto in fase espiratoria, altera totalmente l'associazione tra movimento fisico e ritmo respiratorio. Pertanto essa non può rappresentare la modalità consueta né più frequente nell'esecuzione delle kriya, ma un modo per variarne l'esecuzione e unire gli effetti della vibrazione e della frequenza a quello del movimento. È un tratto che, come accennato in sede introduttiva, avvicina il Prana Viveka Yoga a una sensibilità tantrico-kashmira, specialmente tipica della scuola Spanda.

11. Prana Viveka Yoga e Ayurveda

Il Prana Viveka Yoga può anche essere utilizzato in sinergia con trattamenti ayurvedici, utilizzandolo per coadiuvare il riequilibrio di dosha, subdosha e mahaguna.
L'analisi dettagliata di come il Prana Viveka Yoga agisca su tutte queste variabili esula da questa introduzione generale e normalmente non viene neppure sfiorata nei corsi comuni, ma lasciata a un approfondimento dedicato, in situazioni specificamente orientate agli operatori ayurvedici.
In generale le kriya hanno un effetto anti-rajasico e, essendo radicanti e corporee, sono genericamente valide per ottenere una riduzione di vata in eccesso.
È opportuno ricordare, tuttavia, che il Prana Viveka Yoga non è nato per dialogare con l'ayurveda o la medicina tradizionale cinese, ma per rispondere ad esigenze di “life coaching” olistico, o meglio per integrare pratiche filosofiche e psicopedagogiche sul lato della corporeità, della psicosomatica e dell'energia sottile.



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