Le funzioni della psiche nella psicologia yogico-tantrica - Studio Lacchini - formazione culturale - percorsi evolutivi

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Le funzioni della psiche nella psicologia yogico-tantrica

Materiali
Nella psicologia yogico-tantrica la psiche (o mente, se si preferisce) presenta 3 funzioni – per così dire – di “interfaccia esterna” con l’ambiente e una di coordinamento generale o, se si vuole, di “interfaccia interna” fra le funzioni stesse:

  • Psiche esterna (Manas): comprende la mente sensoriale e quella emozionale superficiale
  • Psiche intermedia (Buddhi): comprende l’intelletto e l’intelligenza
  • Psiche interna (Citta): comprende la memoria profonda, l’inconscio, la coscienza e l’emozione profonda e gli stati di supercoscienza.
  • La funzione di coordinamento è svolta dall’Ego (Ahamkara) che è l’unità operativa a cui vengono ricondotte e attribuite tutte le funzioni della mente. Esso è sede dell’identità storica incarnata (con tutte le sue “maschere” sociali), della memoria e degli attaccamenti.

Ognuna di queste quattro funzioni, che successivamente saranno presentate analiticamente, può esistere a un livello tamasico, rajasico o sattvico. Obiettivo del cammino evolutivo dell’individuo sarà dunque quello di condurre tutte queste funzioni al livello sattvico e poi, da qui, spiccare il “salto mortale” che conduce a riscoprire (ricordare!) la dimensione dello spirito, che sta oltre la mente e oltre l’Ego storico.
Perciò va sottolineato che l’analisi della psiche e delle sue funzioni non esaurisce affatto la psicologia yogica, la quale si apre all’esperienza (non alla conoscenza!) della non-mente e alla riscoperta di un nuovo centro di aggregazione e coordinamento che non è più l’Ego, ma il “Sé” (Atman).
Il lavoro sulle tecniche di avvicinamento alla meditazione e l’esperienza dello stato meditativo costituiscono perciò la conclusione naturale della psicologia vedica e spiegano la sua naturale apertura verso le cosiddette “terapie spirituali”.

È importante comprendere le correlazioni funzionali tra le varie strutture della mente:

  • La psiche esterna (Manas) è la via attraverso cui le impressioni esterne provenienti dai sensi possono entrare nella coscienza dell’individuo. Tale processo non è né automatico né inevitabile. Le stimolazioni esterne, che costituiscono un vero e proprio “bombardamento” sensoriale e concettuale possono soltanto rimanere in superficie, a meno che non venga loro dato il permesso di entrare in profondità.
  • La psiche intermedia (Buddhi) funge esattamente da “portiere”, ossia è la struttura che decide quali stimolazioni esterne possono avere accesso alla coscienza profonda e quali no. Il funzionamento puro di Buddhi (l’intelligenza profonda) è perciò decisivo per determinare ciò che ci penetrerà a fondo e ciò che non ci colpirà affatto. Il meccanismo intellettivo che consente alle stimolazioni esterne e alle emozioni superficiali di entrare in profondità è dato dalla nostra reazione ad esse in maniera dualistica. Quando la nostra risposta alle stimolazioni si pone in termini di amore/odio, simpatia/antipatia, accettazione/rifiuto, le stimolazioni possono entrare. Solo l’intelligenza profonda può consentirci l’osservazione distaccata e quindi la libera decisione di cosa lasciare entrare e cosa no. L’intelligenza profonda si qualifica dunque come una struttura di osservazione distaccata e, per ciò stesso, correttamente valutativa. Quando Buddhi non è lucida finisce col razionalizzare simpatie e antipatie e diviene incapace di svolgere la sua funzione di filtro.
  • La psiche interna (Citta) è lo spazio interiore in cui vengono depositate, sotto forma di energia-memoria profonda, tutte le stimolazioni e le esperienze che buddhi ha lasciato entrare. Queste energie sedimentano in forma di memorie inconsce (samskara) e tendenze (vasana) e si comportano come “semi” che, in opportune circostanze, determineranno inesorabilmente l’individuo a compiere certe azioni. Per la psicologia vedica, tali memorie coscienziali profonde non sono soltanto il frutto della vita attuale dell’individuo, ma di tutte le sue vite precedenti. Citta è pura e altamente vulnerabile, perché consiste nell’apertura profonda del cuore ed è dunque la sede delle emozioni profonde, quelle che determinano l’orientamento e il “mood” permanente della vita di un individuo. Ciò che entra in Citta diviene “nostro” ad un livello di vera e propria fusione con il nostro essere.
  • La funzione dell’Ego (Ahamkara) è quella di consentire l’identificazione dell’individuo storico con le funzioni della mente e con le azioni che esse pongono in essere. Grazie all’Ego possiamo dire “io sento X”, oppure “io provo questa emozione”, o anche “io penso che”, o “io faccio questo”. La funzione dell’Ego, da una parte è essenziale per consentire il processo di individuazione che rende possibile un’efficiente vita incarnata, ma, al tempo stesso, secondo la psicologia vedica, è la radice stessa di tutti i problemi e i blocchi psichici, perché oscura la vera natura dell’individuo che consiste nell’essere spirituale (Atman). In sostanza, obiettivo dell’evoluzione spirituale è quello di arrivare a cogliere che l’Ego non è una realtà, ma solo una funzione utile per svolgere certi compiti, ma non esprime affatto ciò che “io” sono veramente. Pertanto è una funzione psichica che l’individuo illuminato sa utilizzare quando serve per interfacciarsi con il mondo, ma l’abbandona subito dopo. Dato che l’Ego lega l’individuo alle funzioni mentali e alle azioni, esso è la struttura che crea dipendenza dalle impressioni e dalle cose esterne e in cui si cristallizzano le memorie sociali.

1. Consapevolezza e funzioni mentali


La domanda chiave che ciascuno deve porre a se stesso, per la psicologia vedica, consiste nell’indagare a quale livello si trova la nostra consapevolezza.
In sostanza, siamo individui la cui consapevolezza quotidiana dimora prevalentemente in Manas, in Buddhi, in Citta o in Ahamkara?
La maggior parte degli esseri umani vive la propria consapevolezza a livello dell’Ego e della mente sensoriale ed emozionale superficiale. Questo significa essere estrovertiti, assetati di stimolazioni sensoriali (e vittime delle medesime), in balìa di emozioni superficiali mutevoli, vincolati dalle proprie maschere sociali e dai tratti storici più banali della propria identità (sesso, razza, età, professione, cultura, ecc.).
Pochi individui vivono stabilmente a livello di consapevolezza dell’intelligenza profonda (Buddhi) o entrando in contatto con gli stati più interiori del loro inconscio e del supercoscio (Citta). Tali individui sono caratterizzati da una sensibilità elevatissima, dalla capacità di leggere e interpretare con lucidità le situazioni, staccandosi e osservando senza farsi condizionare più di tanto dal loro Ego storico né dalle emozioni e sensazioni esteriori.
Solo alcuni, in tutta l’evoluzione della storia umana, riescono a vivere la loro consapevolezza oltre tutte le funzioni della mente, a puro livello dello spirito, entrando nella non-mente e dimorandovi stabilmente.

2. L’Ego (Ahamkara): la sua funzione e i suoi problemi


Il processo evolutivo dell’essere umano potrebbe essere descritto nel modo seguente: quando il bimbo nasce non si percepisce separato dal resto dell’universo. Non c’è una chiara consapevolezza di essere un’identità a sé stante. In effetti l’obiettivo psicologico principale dei primi due anni di vita consiste esattamente in questo: costruire la propria identità, ossia la funzione dell’Ego, separato dal mondo e dagli altri essri umani. Sarebbe tuttavia sorprendente che questo traguardo, raggiunto solitamente entro il secondo anno d’età, costituisse l’ultima tappa di sviluppo psichico di un individuo destinato a vivere altri settanta o ottant’anni. In effetti, il tempo che rimane all’essere umano dopo la conquista dell’Ego dovrebbe condurlo a riscoprire la propria unità con il Tutto (che il bambino percepisce, ma in modo indistinto), nella piena consapevolezza della propria identità.

In sostanza:

  • Nascita: fusione senza esperienza dell’identità
  • Formazione dell’Ego: identità ma perdita dell’esperienza di fusione
  • Sviluppo spirituale: esperienza dell’identità ma anche della totale fusione

Poiché l’identità creata attraverso l’Ego è separazione da tutto e da tutti, lo sviluppo spirituale consiste nel trovare un nuovo centro di identità che è l’essere spirituale (Atman), in cui la percezione dell’identità si unisce all’esperienza di essere fusi con ogni altro essere.
Quando l’Ego si forma si crea il senso di differenza rispetto al mondo esterno e alle sue creature. In questo modo si introduce la divisione e la coscienza si frammenta e nasce il conflitto. Vale la pena di notare come l’identità di cui l’Ego si sostanzia sia in larga parte storico-sociale.  I giudizi dei genitori, degli insegnanti, dei colleghi, ecc. plasmano progressivamente l’immagine che abbiamo di noi stessi e spesso la nostra “identità” non è altro che l’insieme delle aspettative, delle pretese e delle proiezioni che altri hanno avuto su di noi. Se ce ne rendiamo conto rimanere attaccati a questo Ego diviene quasi insensato. La cristallizzazione ultima dell’Ego è il corpo fisico, con le sue caratteristiche di genere e di età che rappresenta il nucleo stesso dell’identificazione egoica e la maschera più difficile da rimuovere. L’Ego tende poi ad espandersi all’esterno, stabilendo una diritto di proprietà e un territorio d’influenza che saranno fonte di ulteriori conflitti.
Tuttavia non va dimenticato che, pur con tutti questi limiti, l’Ego è il punto d’inizio del processo di evoluzione che distingue la coscienza dalla natura.
La funzione principale dell’Ego è quella di fare da punto di coesione, attribuendo al soggetto l’operato delle altre tre funzioni mentali. È la memoria cristallizzata delle impressioni sensoriali entrate. Mette in comunicazione con il corpo fisico e permette di adempiere le funzioni corporee come se fossero nostre.

3. La mente sensoriale-emozionale (Manas)


Secondo la psicologia yogico-tantrica la mente sensoriale coordina sia gli organi di senso (orecchie, pelle, occhi, lingua, naso) che gli organi d’azione (voce, mani, piedi, genitali, ano) e quindi costituisce l’organo senziente per eccellenza nonché il maggiore mezzo di espressione nel mondo esterno.
Mentre dovrebbe essere Manas a dirigere i sensi, secondo le indicazioni di Buddhi, talvolta accade il contrario. I sensi, che possiedono oggetti ed energie propri, possono imporsi sulla mente sensoriale. In ogni caso, Manas è piuttosto una funzione reattiva che non una vera dimensione di consapevolezza. L’individuo il cui stadio di consapevolezza riposa principalmente in Manas, più che effettuare azioni si limita a reagire a stimoli sensoriali e ad emozioni.
Manas non si limita a coordinare i dati sensoriali in entrata e in uscita, ma li pone in rapporto con il soggetto stesso. L’emozione è esattamente il meccanismo che consente di rispondere rapidamente e in modo personale (egoico) ai dati sensoriali. Vale la pena di sottolineare che, nell’ottica vedica la dimensione emozionale, soprattutto quella superficiale e immediata, non costituisce affatto uno stadio avanzato dell’evoluzione spirituale.
La mente sensoriale non può essere considerata intelligente, in quanto non ha né scopo né valori precisi. Si esprime in modo attivo nelle fantasticherie, con il semplice intento di espandersi nel mondo esterno cercando piacere ed evitando la sofferenza.
Si può dire che Manas costituisca la mente tipica della cultura occidentale contemporanea, essenzialmente estrovertita, mancante di intelligenza profonda e fondata su informazione e sensazione.
Manas produce un certo livello di comprensione della realtà, ma ben diverso da Buddhi e Citta. La mente sensoriale, infatti, è in grado di dare un senso alle cose percepite, ma lascia sempre una sfumatura di dubbio. Buddhi, invece, offre una visione profonda e molto più chiara, mentre Citta fornisce un’intuizione profonda e certa.
Se si volesse dare una lettura psicoanalitica, dovremmo dire che Manas, legata alle sensazioni e alle emozioni, è la mente subcoscia, legata all’istinto, alla memoria genetica e di specie.

I compiti principali di manas sono:

  • Intenzionalità – Manas è legata al mondo dell’Ego e all’esteriore e cerca sempre di produrre qualcosa di esterno. È la mente degli obiettivi concreti, dei raggiungimenti e delle acquisizioni e dunque spesso è legata al calcolo di vantaggi e svantaggi. La spontaneità (intesa come "gratuità") non le appartiene. Tuttavia, quando funziona in modo sattvico gestisce anche l’intenzionalità di livello più elevato (per es. la volontà di giustizia). Quando è allineata con Buddhi determina un generale orientamento della vita verso la verità.
  • Immaginazione – L’immaginazione è la proiezione di un’intenzionalità nell’ambito del futuro e del possibile. Può determinare un tipo di esistenza condizionata da un pensiero illusorio dettato dal desiderio (un’esistenza permanentemente nel sogno), ma, in senso positivo, può condurre a re-immaginare le esperienze, costituendo la base per l’autoriflessione e lo sviluppo della consapevolezza. La natura immaginifica di Manas ne fa la mente che governa l’attività artistico-creativa.
  • Sensorialità sottile – Poiché Manas è la mente dei sensi, quando si sviluppa al suo livello più elevato gestisce anche le manifestazioni di sensorialità sottile, inclusi i fenomeni E.S.P. L'ayurveda, esattamente come lo yoga, ribadisce che tali poteri extrasensoriali (siddhi) non appartengono affatto ad un elevato livello di sviluppo spirituale e tutti i mistici di ogni tradizione li hanno sempre considerati più che altro una formidabile tentazione per l’Ego e quindi un potenziale ostacolo verso il risveglio. L'esoterismo non va confuso con la spiritualità.

4. Dall’intelletto all’intelligenza (Buddhi)


La radice sanscrita “bud” significa “svegliarsi” o anche “percepire”. Buddhi è perciò l’inizio del risveglio della consapevolezza; la sua funzione è analoga a quella di una fonte di luce in una stanza buia. Di colpo i profili delle cose divengono distinguibili, le forme reali si differenziano da quelle irreali, ogni apparenza viene dissolta. La caratteristica di Buddhi dovrebbe essere quella di consentire un’osservazione distaccata degli oggetti e delle idee.

Buddhi ha due livelli di manifestazione: l’intelletto e l’intelligenza.
L’intelletto razionale (quella che solitamente chiamiamo “mente logica”) è la dimensione di Buddhi che si proietta verso l’esterno. Esso si costruisce attraverso la conoscenza delle esperienze passate e delle nozioni apprese, per cui è essenzialmente proiettato sul passato, nel senso che utilizza il passato come chiave interpretativa della realtà. L’intelletto razionale ha natura analitica e quindi crea separazione, in quanto il suo compito è scindere il tutto nelle parti per rendere ciascuna di esse comprensibile, ma, ciò facendo, perde proprio di vista quel “plus” che fa del tutto qualcosa di più della somma delle parti. La conoscenza che l’intelletto ha della realtà è mediata attraverso i concetti (nomi e numeri) e tenta di leggere la realtà cristallizzandola in forme stabili. Per questo motivo la sua modalità conoscitiva è fortemente astratta, nel senso che tenta di bloccare staticamente una realtà che è permanentemente fluida e dinamica.
Perciò l’intelletto svolge una funzione eminentemente pratica, è la conoscenza delle cause, della costruzione dei protocoli e va considerato un’emanazione dell’Ego. È lo strumento per gestire i mezzi, non i fini.
L’intelletto razionale è la funzione che rende possibile la scienza, la morale (sociale) e le religioni organizzate, la cui struttura è basata su comprensioni e rapporti eminentemente razionali.

L’intelligenza (parola la cui etimologia latina significa “leggere in profondità”) è una capacità di lucida percezione interiore e diretta. È una sorta di luminosa intuizione riguardante la vera natura delle cose che arriva a manifestarsi unicamente quando matura un adeguato spazio di silenzio e meditazione. Diversamente dall’intelletto, l’intelligenza legge la realtà non a partire da conoscenze passate, ma per ciò che essa può diventare; non è conoscenza delle cause, ma degli obiettivi. Non vede la realtà com’è, ma come può trasformarsi. Non è analitica, ma sintetica, ossia non scinde il tutto in parti, ma, al contrario, quando si trova davanti una realtà frastagliata e incomprensibile, riesce a renderla unitaria e coordinata trovando al suo interno una coerenza e una finalità superiore che all’intelletto sfugge totalmente. Mentre l’intelletto è il regno del concetto e del numero, l’intelligenza è il regno del simbolo.
Per tutti questi motivi l’intelligenza sta alla base della costruzione di un’etica universale profonda che va ben oltre le morali convenzionali ed è alla base della nascita di una profonda spiritualità, al di là delle religioni organizzate, dove trova spazio la ricerca della verità al di là di qualunque nome e forma.
In sostanza Buddhi, al suo livello più basso è discriminazione logico-concettuale, mentre al livello più elevato è discriminazione spirituale e costituisce un potente trampolino di lancio verso la riscoperta dello spirito. È questa la ragione per cui scienza e filosofia, se adeguatamente nutrite di silenzio, meditazione e scarso Ego, possono essere la chiave per una comprensione intuitiva profonda di più alto livello.

Le principali funzioni di Buddhi sono:

  • Interpretazione delle percezioni – le informazioni sensoriali coordinate da Manas restano oscure se non vengono adeguatamente interpretate da Buddhi. Il fuoco dell’intelligenza può illuminare sensazioni, emozioni, pensieri e lo stesso senso dell’Ego, iniziando l’opera di relativizzazione e di distacco dall’identità storica.
  • Ragione – Buddhi gestisce tutti i metodi raziocinativi: deduttivi, induttivi e abduttivi.
  • Parola, ascolto, testimonianza – Buddhi governa la capacità di apprendere attraverso l’ascolto. L’intelligenza e non l’oratore è il vero Guru. Benché l’apprendimento tramite ascolto e interpretazione intellettiva non possa essere considerato la forma suprema di comunicazione, né di insegnamento, costituisce comunque sempre un veicolo importante negli stadi intermedi dell’evoluzione spirituale a cui la maggior parte di noi appartiene.
  • Chiarezza della memoria – la memoria non appartiene a Buddhi (ma all’Ego e a Manas nei suoi aspetti più superficiali e a Citta nei suoi aspetti più profondi), ma tuttavia la memoria non riesce a svolgere la sua funzione se Buddhi non la illumina. In sostanza la memoria è solo uno stockaggio di dati che devono essere interpretati per risultare utili. E la luce dell’interpretazione dipende da Buddhi.
  • Vigilanza e discriminazione dei segni – Buddhi è la facoltà del risveglio e dunque ogni forma di vigilanza le appartiene. Per “vigilanza” intendo la capacità di leggere i segni che si nascondono nella realtà, saper cogliere le suggestioni della totalità, dove chi manca di intelligenza profonda vede soltanto caos e nonsenso.
  • Samadhi di livello intermedio – Il Samadhi è una situazione di fusione in cui l’individuo non si coglie più separato dall’universo, ma tutt’uno con esso, in quanto scintilla divina. I Samadhi possono darsi a diversi livelli di profondità. Se, in una situazione di grande silenzio e ritiro dalle stimolazioni sensoriali, l’intelligenza profonda si concentra sulla coscienza interiore (Citta) e vi entra in modo consapevole può accadere un Samadhi di livello intermedio. Si tratta di una focalizzazione meditativa. I Samadhi di livello superiore, in cui anche l’intelligenza profonda non è più focalizzata (e quindi è “spenta”) appartengono a Citta e costituiscono la situazione più vicina al “salto” nella non-mente verso lo spirito.

5. Dall’inconscio al superconscio (Citta)


Se si dovesse definire il cuore del percorso evolutivo dell’individuo si potrebbe dire che esso consiste nel passare dalla coscienza condizionata (il deposito di tutti i ricordi e gli attaccamenti da cui provengono i problemi psichici), alla coscienza incondizionata (l’esperienza di fusione del soggetto con il tutto, dove l’individualità storica è venuta meno).
Benché il dimorare nella propria coscienza profonda costituisca la via maestra verso l’illuminazione, può anche condurre alla malattia mentale. Infatti, la chiusura nella coscienza in mancanza di un’intelligenza profonda, può semplicemente portare l’individuo ad un’estraniazione dalla realtà e ad un’alienazione sostanzialmente tamasica. Per questo è pericoloso addentrarsi nelle profondità di Citta se non si è sviluppata adeguatamente Buddhi.
Così come i processi corporei profondi funzionano senza che ne abbiamo consapevolezza (specialmente quelli a livello cellulare), allo stesso modo la coscienza profonda mantiene solitamente i suoi processi al di fuori della portata delle altre funzioni mentali. Ahamkara e Manas non vi hanno accesso, mentre soltanto una Buddhi evoluta può penetrarvi.
La natura profonda di Citta consiste nella sensibilità, intesa come la capacità di sentire e di conseguenza di relazionarsi a qualunque livello. Anche Manas possiede specificamente la qualità senziente, ma Citta registra ciò che entra nel campo mentale ad un livello molto più profondo, conservando le tracce dei pensieri e delle impressioni emozionali più forti e totali, sia di questa vita che delle vite precedenti. Citta costituisce perciò il seme stesso del nostro ciclo di nascita-morte.
È importante sottolineare che, per la psicologia vedica, che si ispira al sistema filosofico Samkhya, la coscienza non è un fatto individuale, ma soprattutto cosmico. Essa è il campo energetico in cui ogni realtà trova la sua manifestazione e varie forme e modalità di coscienza esistono in tutti gli esseri, animati o inanimati.
La coscienza, del tutto simile in questo al concetto junghiano di “inconscio collettivo”, è una sorta di oceano tutto intorno a noi, in cui siamo immersi, e la nostra Citta individuale non è altro che un’onda, una specifica fluttuazione sul mare infinito della coscienza cosmica.
L’oceano coscienziale conserva le tracce di ogni esperienza, sia individuale che di specie. Per questo, avere accesso alla propria coscienza profonda, significa connettersi con ogni essere e aprire le porte che conducono alle elevate conprensioni dello spirito e alla fusione con l’Assoluto.
Tuttavia occorre ricordare che scopo dell’evoluzione individuale non è quello di esplorare i contenuti della coscienza, ma di dissolverli, in quanto Citta, per quanto sottile e profonda, è ancora prakriti, energia materiale.
Per l’ayurveda Citta è anche la sede del “cuore” spirituale, il luogo metafisico in cui sono depositate le paure, le ansie e i dolori più profondi, specialmente quelli legati alla nascita e alla morte. Il legame strettissimo che la coscienza intrattiene con la forza vitale, fa sì che una delle tecniche migliori per entrare in contatto con Citta e farla evolvere in direzione sattvica, sia quella dei pranayama.
Mentre manas contiene la volontà immediata, che si attiva per obiettivi specifici e per lo più esterni, Citta contiene la volontà intesa in senso generale e potenziale, la volontà di vivere (lo “slancio vitale” di cui parla Bergson o la “voluntas” di Schopenhauer).

6. Samskara e Vasana


Il tessuto della coscienza incide profondamente sulla vita concreta dell’individuo. La modalità con cui questa influenza si manifesta dipende dall’azione dei samskara e dei vasana.
Quando un’esperienza sensoriale, emozionale, cognitiva, vitale viene lasciata passare da Buddhi, attraverso il meccanismo della dualità (piacere/dispiacere, attrazione/repulsione, ecc.), tale esperienza si deposita in Citta determinando una sorta di “cicatrice” psichica denominata “samskara”. L’esperienza andrà a depositarsi insieme a tutte le altre identiche, e si rafforzeranno vicendevolmente. Tutte le esperienze di dolore si riuniranno, così come quelle di abbandono, o quelle di gratitudine, meditazione, riconoscimento, ecc.
Quando un certo numero di esperienze raggiunge una specie di “massa critica” (il che può avvenire sia per eccesso di numero che per eccesso di intensità), attiva un complesso, cioè determina una sorta di “blocco psichico” che determina l’ulteriore esperienza e le azioni dell’individuo. Naturalmente tale blocco non è necessariamente negativo; può essere anche positivo e avere la funzione di far effettuare all’individuo un salto nel suo processo di evoluzione. Anche ripetute esperienze di meditazione creano samskara!
La somma di esperienze precedenti determina anche i “vasana”, ossia le tendenze apparentemente innate (e inspiegabili) che un individuo presenta.
Samskara e vasana si trasmettono da una vita all’altra e possono essere superati (quelli negativi) o reindirizzati soltanto raggiungendo una massa critica di esperienze altrettanto significative di segno opposto. Di qui l’enorme importanza che la psicologia yogica annette al mutamento delle esperienze e alla funzione terapeutica assegnata alla quotidianità di un condizionamento positivo.
In sostanza, fino a quando il livello evolutivo non è divenuto molto elevato, occorre scegliere il più possibile ambienti, esperienze, situazioni, compagnie, letture, lavori, ecc. che contribuiscano a creare samskara positivi.
In sostanza samskara e vasana sono assimilabili all’inconscio freudiano, in quanto costituiscono i moventi profondi e occulti dell’azione. L’insieme di samskara e vasana va a costituire il “karmashaya”, ossia il deposito del karma, che si trasmette di vita in vita. Ciò spiegherebbe la presenza, in bimbi ancora piccoli, di complessi e inclinazioni in sé inspiegabili indagando la loro breve vita.

7. Le funzioni di Citta


Le principali funzioni di Citta sono:

  • Memoria – La funzione mnestica di Citta non consiste nella normale memoria delle informazioni (che è gestita da Ahamkara), ma nella memoria organica, cellulare, in cui non è tanto la storia dell’Ego ad essere presente, ma la memoria del Sé profondo, della natura divina dell’individuo, delle gioie e dei dolori esistenziali.
  • Sonno profondo – Citta gestisce questa fase del sonno, in cui l’individuo si immerge nuovamente nella sua stessa sorgente, nel prana originario, nella programmazione psichica di base.
  • Samadhi – Qualunque situazione di assorbimento e fusione in cui dimentichiamo noi stessi costituisce un’esperienza di samadhi. Naturalmente vi sono anche samadhi inferiori, in cui prevale l’azione di tamas o di rajas e la coscienza viene alterata o addirittura obnubilata. Sono tali, ad esempio, i samadhi provocati dalla droga o dall’alcol. Questi samadhi negativi aumentano il legame profondo con il mondo esterno e la propria fisicità, e costituiscono un ostacolo sul percorso dell’evoluzione spirituale. La sessualità costituisce un samadhi potente, se vissuta in modo tantrico, ma anch’essa, se vissuta in modo ossessivo determina un legame con gli aspetti più pesanti dell’incarnazione. Citta gestisce tutti i samadhi di tipo superiore, cioè quelli non intellettivi (gestiti da Buddhi), ossia le esperienze spirituali superiori, di origine non verbale e non cognitiva, nonché tutte le esperienze “di vetta”, che determinano potentissimi samskara.  I samadhi superiori sono facilmente riconoscibili, perché portano con sé straordinarie esperienze di consapevolezza e lucida comprensione intellettiva.
  • Intuizione – L’intuizione è una forma di samadhi, in cui l’individuo si fonde con la verità o la cosa intuita e ne percepisce l’essenza. Determina una conoscenza più chiara di qualunque conoscenza sensoriale o intellettuale, ma non dev’essere assolutamente confusa con l’immaginazione o le percezioni sensoriali sottili. L’intuizione viene considerata una funzione elevata di Citta.
  • Istinto – L’istinto è una sorta di intuizione organica che protegge le funzioni profonde ed essenziali dall’interferenza dell’Ego. Naturalmente Citta non governa gli istinti superficiali (che sono semplici modalità di stimolo/risposta e vengono gestite da Manas), ma soltanto gli istinti profondi come quello di sopravvivenza e quello riproduttivo.
  • Amore – Citta è un’energia di fusione, sia rispetto al mondo esterno (che si incide nella coscienza) che al nostro mondo interiore. Perciò, al suo livello più elevato Citta esprime l’energia dell’amore, la relazione del cuore.
  • Fede – L’apertura del cuore e la capacità di intuizione profonda fanno sì che Citta gestisca la dimensione della fede, non intesa come credenza in una persona o in un libro sacro o dogma, ma come percezione innata dell’Eterno e dell’Infinito.

8. Funzioni della mente e mahaguna


Per la psicologia yogico-tantrica le funzioni della psiche sono una manifestazione energetica; esse appartengono a "prakriti" (se vogliamo utilizzare l'espressione del Samkhya) e a "shakti" (in termini tantrici). In sostanza, la psiche, esattamente come la materia, è vibrazione energetica e, come qualunque altra realtà materiale, agisce sotto l’influenza dei mahaguna, che sono appunto le tre modalità in cui l'energia si può manifestare. L’influenza di tamas, rajas o sattva cambia radicalmente il funzionamento della mente.
Si può sintetizzare l’influenza dei mahaguna sulle funzioni mentali:

Citta
  • Tamas: blocchi emotivi, attaccamenti radicati, ricordi e schemi del passato che intrappolano, dipendenze, preoccupazioni, fobie, paura, ansia, depressione, odio, sonno eccessivo, relazioni sbagliate.
  • Rajas: disturbi emotivi, immaginazione iperattiva, pensieri non controllati, preoccupazione, scontento, irritabilità, rabbia, memoria alterata, sonno disturbato, relazioni turbolente..
  • Sattva: Pace interiore, amore disinteressato, fede, gioia, devozione, compassione, ricettività, chiarezza, buona intuizione, comprensione profonda, distacco, impavidità, silenzio interiore, memoria chiara, sonno calmo, relazioni giuste.

Buddhi
  • Tamas: mancanza di intelligenza, mancanza di percezione, pregiudizi profondi, mancanza di coscienza, scarsa eticità, disonestà illusione, attaccamento alle proprie opinioni.
  • Rajas: mente critica, giudicatrice, intransigente oppure ipocritica, dogmatica, mentalità ristretta, percezione distorta, eccessiva realtà assegnata al mondo esterno e peso eccessivo assegnato a nomi e forme (conoscenza formale).
  • Sattva: capacità di descriminare tra eterno e transitorio, percezione chiara, forte senso etico, tolleranza, non violenza, veridicità, onestà, chiarezza e pulizia mentale.

Manas
  • Tamas: pigrizia, mancanza di autocontrollo, alta influenzabilità, fantasticherie, pensare senza scopo, incapacità di sopportare il dolore, ricerca di sensazioni violente, molte abitudini e dipendenze, uso di droghe, dissipazione della personalità.
  • Rajas: forte natura sensoriale, forte natura sessuale, molti desideri, aggressività, intransigenza, competitività, caparbietà, immaginazione troppo attiva, sogni disturbati, mentalità calcolatrice.
  • Sattva: buon autocontrollo dei sensi, controllo del desiderio sessuale, capacità di sopportare il dolore, distacco dal corpo, capacità di resistere agli elementi climatici avversi.

Ahamkara
  • Tamas: idea negativa di sé, pauroso, servile, dipendente, disonesto, pauroso, identificato con il corpo.
  • Rajas: ambizioso, dogmatico, orientato al raggiungimento, caparbio, arrogante, vanitoso, pieno di sé, manipolatore, forte identificazione con la famiglia, la nazione e la religione.
  • Sattva: idea spirituale di sé, altruismo, abbandono, devozione, conoscenza del sé, dedizione agli altri, rispetto per tutte le creature, compassione.

9. Lo spirito – l’individualità divina


Oltre la dimensione della mente, la psicologia e la filosofia Samkhya, ampiamente nutrite di esperienze meditative, individuano lo spazio dell’anima, la scintilla divina non materiale in cui si esprime la nostra vera identità al di là dell’Ego storico.
Il termine sanscrito con cui si denomina l’anima è Atman, ma anche “jiva” che può essere tradotto con “principio vitale”.
L’individuo che riscopre a livello esperienziale la propria identità spirituale (il "risvegliato") viene chiamato “jivanmukhta” cioè “liberato in vita”.
L’anima è la sorgente della vita, della coscienza, della comprensione, dell’amore e della luce. Essa è perciò il principio che traluce in Citta e Buddhi, che nella misura in cui sono attive a livello sattvico, ne sono espressione visibile.
È importante sottolineare che non conta molto il fatto di “sapere” che “io” sono uno spirito, ma di arrivare a “sperimentarlo”, ossia a sentirlo mediante un’intuizione profonda del “Sé”. Se così non fosse l’illuminazione coinciderebbe con la conoscenza razionale, la sapienza equivarrebbe alla filosofia.
Conoscere la via non equivale affatto a percorrerla. Quando si è conosciuta intellettualmente la via (tramite lo studio, le letture, i corsi, ecc.) ci si trova ancora nel luogo iniziale, nulla è mutato. Percorrere una via, invece, conduce in un luogo diverso e lontano, totalmente diverso da quello da cui si è partiti.
Proprio per questo è sterile dilungarsi sulle proprietà e funzioni di Atman; si tratterebbe di un mero gioco intellettuale. Arrivateci e scopritelo!
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