La psicologia olistica
Materiali
Il
concetto di “psicologia olistica” compare sempre più
frequentemente nel dibattito culturale legato alle discipline
umanistiche. Tuttavia, benché il termine “olos” rimandi
ovviamente a una qualche forma di “totalità”, non sempre risulta
chiaro in cosa si sostanzi effettivamente quest'ultima.
Cos'è
realmente contenuto in questa prospettiva “totale” che la
psicologia dovrebbe assumere? Forse dietro il termine “psicologia
olistica” si nasconde una sorta di “degenerazione new age”
della psicologia? O magari si tratta soltanto di un altro modo per
denominare gli approcci umanistici e transpersonali? Oppure è un
sinonimo di psicologia a mediazione corporea?
Poiché
da vari anni mi batto per far compiere alla psicologia, alla
pedagogia e all'antropogogia questa specie di “salto quantico”,
ritengo essenziale dare il via al dibattito e proporre la mia visione
della psicologia olistica, nel modo in cui essa è già presente nel
"Body, Touch & Care Method".
I limiti degli approcci psicoterapici più comuni
La
spinta verso la psicologia olistica è nata in me dalla riflessione
prolungata circa i limiti degli approcci psicologici e psicoterapici
più comuni.
La
gran parte della domanda di counselling e di psicoterapia e – di
conseguenza – gran parte dell'offerta e della pratica, compresa
quella integrata nel SSN, imposta il lavoro psicologico come aiuto
relazionale, rapporto tra soggetti. La cosa, in sé, non stupisce,
perché, al di fuori di un contesto terapeutico, se un essere umano
sente la necessità di conforto, di calore umano o di interazione
sociale, in prima istanza non ipotizza l'assunzione di una sostanza
chimica per colmare questi bisogni, ma si rivolge ai propri simili,
cerca una relazione. Solo una volta fallita questa ipotesi, entrano
in gioco comportamenti compensativi attraverso assunzione di sostanze
(cibo, fumo, alcol, droghe, ecc.).
In
questo senso, l'approccio psicologico bio-medico, marcatamente
farmacologico, ancorché necessario in alcuni contesti per la tutela
dell'incolumità e della vita di alcuni individui, si presenta come
intrinsecamente insufficiente alle reali esigenze dell'essere umano e
spesso non rappresenta altro che una fuga – complice il terapista –
dai problemi veri e da un'autentica prospettiva evolutiva.
Nei
contesti in cui viene proposto l'approccio psicologico di tipo
relazionale (per esempio quello psicodinamico), spesso viene dato un
po' per scontato che gli assistiti posseggano una sufficiente
capacità di elaborazione metacognitiva, di concettualizzazione e di
verbalizzazione (anche interiore) e un minimo di consapevolezza.
Tutto ciò, spesso, è ben lontano dalla concreta situazione
operativa. Al contrario, è un dato di fatto che molte persone
presentino deficit cognitivi e metacognitivi più o meno marcati.
Spesso sono carenti anche abilità di base: attenzione,
memorizzazione, capacità rievocativa, elaborazione di spiegazioni
sequenziali o anche solo semplice articolazione interna del proprio
pensiero. Tutto ciò, spesso, non inficia la possibilità di un
normoinserimento professionale e sociale, che spesso richiede
solamente l'adeguamento ad abitudini, convenzioni e cliché, ma rende
gli individui fragilissimi e incapaci di adattamento di fronte a
mutamenti importanti delle loro prospettive vitali.
Gli
approcci psicoterapici di tipo cognitivista, di per sé, hanno il
vantaggio di tenere ben presente questo deficit diffuso e spesso
aiutano gli assistiti a prendere consapevolezza delle loro lacune e
provvedono ad un vero e proprio “addestramento” per lo sviluppo
delle capacità metacognitive, ma spesso non danno adeguata
attenzione alla dimensione dinamico-emotiva, considerata per lo più
episodica e non costitutiva – e meno che mai esaustiva –
dell'essere umano.
Tutto
ciò aggravato dal fatto che, spesso, psicologi e psicoterapisti
sembrano guardare alle proprie “scuole” di riferimento con la
rigidità dei seguaci di una fede, senza una reale capacità di
integrare diverse prospettive di lettura e più propensi ad inserire
l'assistito in classificazioni e schemi, piuttosto che a rapportarsi
nell'ascolto dell'infinita complessità e dell'assoluta unicità di
ogni individuo.
Le prospettive mancanti
Accanto
alla necessità di andare ben oltre la prospettiva bio-medica e di
recuperare insieme la dimensione cognitiva e metacognitiva con quella
dinamico-emotiva, nell'approccio psicologico e psicoterapico attuale
sembrano essere soltanto episodicamente presenti, se non mancare del
tutto, almeno altre quattro prospettive:
- la dimensione corporea e sensoriale (con la sola eccezione dei sessuologi, delle scuole di bioenergetica e di psicosintesi);
- la dimensione energetico-vibrazionale ed informativa, ovvero la prospettiva quantica;
- la dimensione archetipico-simbolica e il conseguente rapporto dell'individuo con l'inconscio collettivo (con l'eccezione delle scuole di derivazione jungiana) che dischiude la prospettiva transpersonale e spirituale;
- la dimensione valoriale (come prospettiva di senso, non morale) e spirituale, come contesto in cui si può manifestare lo spazio del Mistico, dell'Oltre-la-Mente, con eccezione delle scuole che fanno riferimento a Frankl.
Purtroppo,
senza un'adeguata attenzione a queste dimensioni, l'approccio
psicologico diviene pesantemente riduttivo, indegno della complessità
umana, incapace di rispondere alla domanda evolutiva e quindi
pedagogicamente e antropogogicamente inutile.
Psicologia olistica e psicologia yogico-tantrica
La
psicologia olistica è il tentativo di rispondere concretamente a
tutte queste istanze, attraverso la creazione di un modello
antropologico, di procedure operative e di strumenti di intervento in
parte innovativi rispetto agli approcci tradizionali. Nella mia
storia personale tutto questo è stato possibile attraverso
l'incontro con la “psicologia yogico-tantrica”, ossia con
l'enorme bagaglio di saggezza antropologica, di tecniche
metacognitive e di sensibilità energetica racchiuso nella cultura
vedica, nello yoga e nel tantra e nell'incontro con tecniche e teorie
del wushu cinese. Tuttavia, la psicologia olistica, così come
personalmente la intendo, non è la “traduzione” occidentale di
quella indovedica, né la giustapposizione di concetti disparati
provenienti da diverse tradizioni culturali. Essa è invece una
scaturigine di sensibilità psicologiche e filosofiche strettamente
occidentali, in dialogo con le più recenti modellizzazioni della
scienza, che ha tratto ispirazione dall'immenso bagaglio sapienziale
e tecnico delle culture orientali senza appiattirsi su di esso.
La
psicologia olistica, a livello teorico, prova a dare espressione a
varie istanze.
Innanzi
tutto l'antropologia di riferimento è data dalla concezione quantica
e transpersonale dell'essere umano; le componenti che questa
concezione prende in considerazione sono:
- la corporeità (struttura corporea, sensorialità, propriocettività)
- la psiche (strutture percettive, emozionali, cognitive, metacognitive, affettive, mnestiche, strutture di personalità)
- il rizoma-archetipale (la dimensione simbolica e archetipica legata all'inconscio collettivo, che dischiude la transpersonalità)
- lo spirito (dimensione del “senso”, spazio dell'Oltre-la-Mente, transpersonalità, percezione della relazione col Tutto).
- Le quattro componenti non vanno intese in modo rigidamente distinto, ma pensate come reti “fuzzy” che si intersecano reciprocamente.
L'energia-informazione
è il trait-d'union fra tutte queste componenti. Quanticamente
parlando, tutte e quattro le dimensioni citate possono essere pensate
come manifestazioni della medesima onda di energia-informazione a
differenti frequenze vibratorie.
Di
conseguenza, qualunque strategia operativa, tecnica di intervento,
modalità relazionale fra operatore e assistito deve ispirarsi a
questa complessità e prendere in considerazione sempre la totalità
integrata di queste quattro componenti;
L'atteggiamento
è sempre totalmente non-direttivo, cerca di portare ad emergere gli
impliciti e non muove da apriori filosofici ma dalla concretezza
dell'individuo incarnato.
Gli obiettivi della psicologia olistica
Gli
obiettivi della psicologia olistica (terapeutici in quanto
pedagogici) sono principalmente i seguenti:
- trasformare l'emozione in sentimento
- trasformare la sensazione in insight
- trasformare l'automatismo reattivo in azione consapevole
- trasformare il ristagno abitudinario in fermento evolutivo
- far emergere gli archetipi rispetto ai quali l'individuo ha sviluppato un'integrazione distorta o un atteggiamento disfunzionale e tentare di riscrivere l'informazione evolutiva di cui gli archetipi sarebbero portatori;
- produrre un'integrazione armonica sempre migliore fra le quattro dimensioni dell'essere;
- condurre progressivamente dalla dimensione di consapevolezza individuale a quella transpersonale
Tutto
ciò viene definito “evoluzione” e a livello esistenziale conduce
a una risonanza interiore positiva che viene chiamata
“bene-dell'-essere” (wellbeing).
A
livello pragmatico-operativo ciò che scaturisce dalle basi teoriche
è un nuovo insieme di strategie e di tecniche di intervento. Due
aspetti di originalità su cui voglio richiamare l'attenzione sono i
seguenti:
- l'analisi e la comprensione del soggetto inizia a partire dalla dimensione somatica, attraverso l'osservazione – in chiave psicoenergetica – della morfologia, della postura e degli atteggiamenti. Ovviamente la dimensione somatica è soltanto punto di partenza (e di movenza) e non esaurisce la complessità del lavoro analitico e di intervento.
- diviene necessaria un'attenta valutazione dell'energia-informazione ambientale (sia dal punto di vista spaziale che temporale) per valutarne l'impatto su tutti i piani che compongono l'individuo ed eventualmente modificarla.